Serie dei Giardini
Sono cinque gli arazzi di questa serie, concepiti come spettacolari scenari paesistico-prospettici in cui vengono raffigurati tipici parchi nobiliari del tardo Cinquecento.
La composizione è di grande impatto visivo: aiuole geometriche, balaustre, pergolati, padiglioni classicheggianti, statue, rovine antiche e case sono inserite in un contesto naturale di forte suggestione in cui vengono sapientemente alternati elementi naturali e artificiali (fontane, corsi d’acque, prosceni incolti, piccoli animali).
Le piccole figure umane che si muovono nei giardini vestono all’antica. Il tutto, oltre a sottolineare il contrasto tra natura coltivata, artificiale e natura incolta, selvaggia rifacendosi ad una tipica concezione del giardinaggio di quell’epoca, costituisce anche il teatro ideale per ambientare episodi mitologici, richiamati in ogni arazzo da una o più figure poste in primo piano che svolgono la funzione di citazione colta.
I panni sono tutti accomunati dalla derivazione da un’unica fonte letteraria: le Metamorfosi di Ovidio:
- L’incontro di Teseo e Arianna (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 169-176).
Nel labirinto raffigurato al centro dell’arazzo, l’eroe affronta il Minotauro (qui raffigurato come Centauro, secondo un reiterato errore trasmesso dall’arte romanica a quella nordica del XVI secolo); - Vertumno e Pomona.
Vertumno (al centro) travestitosi da vecchia si introduce al cospetto di Pomona (Ovidio, Metamorfosi, XIV, 664 ss.). In primo piano Nettuno e una Nereide; - Minerva e le Muse.
Minerva, rivestita delle sue armi, si dirige a far visita alle Muse (Ovidio, Metamorfosi, V, 250 ss.), che compaiono nel settore destro, disperse tra siepi e pergolati, intente a suonare i loro strumenti tradizionali. - Giove e Callisto.
Giove, assunto l’aspetto di Diana (la donna a sinistra, con la falce di luna sulla fronte), corteggia e conquista la ninfa Callisto (Ovidio, Metamorfosi, II, 422). Il pavone appollaiato sulla balaustra allude forse a Giunone, consorte di Giove; - Cefalo e Procri.
Cefalo (identificato dalla lancia posta ai suoi piedi) appoggiato alle gambe di Procri (Ovidio, Metamorfosi, VII, 797-803).
Su quest’ultimo arazzo è opportuno soffermarsi brevemente, perché la raffigurazione dei due giovani, ci riporta alla variante introdotta da Niccolò II Postumo da Correggio rispetto al racconto ovidiano: là dove nel mito ovidiano Cefalo uccide per errore la moglie Procri, nel testo di Niccolò la favola ha un finale lieto con i due sposi che vivono felicemente insieme. Finale che divenne il modello per moltissimi quadri ed arazzi quattro-cinquecenteschi.
Ultimo aggiornamento
25 Ottobre 2022, 14:42