Il culto domestico in epoca romana
A Roma, il sacrificio è un atto compiuto da una comunità (piccola come la famiglia o grande come lo stesso Stato) che si rivolge agli dei e ad altre figure divine anche domestiche come lari o penati. L’offerta è rappresentata solitamente da un alimento.
Il concetto di sacrificio implica il nutrire la divinità, ed è percepito come un pasto divino al quale fa seguito un pasto umano. Questo rito prevede un’eliminazione parziale o totale di quanto è stato sacrificato.
Parte del sacrificio sono le fumigazioni e le libagioni, che consistono le prime nel gettare tra le fiamme le offerte affinché il loro fumo arrivi agli dei, le seconde nell’esporre al fuoco e poi versare su un altare degli aromi, dei profumi o dei liquidi.
Il culto nel mondo romano era distinto in due sfere fondamentali: sacra publica et privata, come pubblici e privati erano gli dei.
I riti sacri erano compiuti per varie e diverse motivazioni: per la festa annuale della divinità, per riparare ad un atto commesso contro la volontà divina, per propiziarsi il ritorno da un viaggio, per la nascita di un bambino, per una vittoria, per il benessere
fisico e materiale.
Il sacrificio è un “canale di comunicazione” tra gli uomini e le divinità. Con l’offerta si manda un messaggio agli dei ed essi rispondono attraverso le vittime, con segnali che i sacerdoti possono decifrare attraverso atti divinatori che fanno parte della
pratica sacrificale.
La parte finale del sacrificio, il banchetto, è un mezzo per consolidare l’unione interna al gruppo riunito a celebrare l’atto religioso e quella del gruppo con la divinità stessa. I sacrifici dovevano essere compiuti secondo leggi rigorosissime.
Nel culto domestico il capo famiglia era l’officiante principale, spesso assistito dai familiari o dai servi. Egli presiedeva alle offerte e ai sacrifici e recitava le preghiere.
Il culto richiedeva necessariamente una suppellettile sacra. Sacra era considerata, d’altronde, anche la mensa domestica, consacrata dai riti quotidiani o straordinari che vi si compivano. La mensa, come il focolare, raccoglieva anticamente i familiari, i clienti, liberi e ospiti, dinnanzi alle immagini dei Lari (antenati defunti) ed era ornata dai vasi sacri.
La mensa romana non era mai lasciata sgombra perché essa era ritenuta sacra e nulla di sacro poteva rimanere vuoto; anche gli appartenenti alle classi sociali più basse non lasciavano mai vuota la mensa, anche se questa poteva essere “adornata” solo da
semplici vasi in terracotta.
Tra gli utensili sacri gli autori antichi ricordano l’acerra, dove era conservato l’incenso ed altre sostanze aromatiche, il praefericulum per le libagioni, il guttus, una brocca con lungo e stretto becco tubolare per versare, utilizzati per le libagioni, il calix per bere; l’aspergillum, aspersorio per le lustrazioni
Ultimo aggiornamento
2 Marzo 2022, 09:21