Terrachini Bruto
Figlio di Pier Giacinto e della contessa Maria Teresa Malaguzzi Veneri, Bruto Terrachini (o Bruto, come da tutti conosciuto a Correggio e nei dintorni) nacque a Rio Saliceto il 10 agosto 1891.
Da giovane frequentò a Reggio Emilia la scuola d’arte Gaetano Chierici, ma l’irrequietezza del suo carattere gli impediva di star fermo sui banchi di scuola.
Trasferitosi a Correggio col padre nel 1902, da allora vi risiedette fino alla morte, settant’anni più tardi.
Fin da giovanissimo collaborò col padre, ormai affermato progettista, dimostrando una precoce e grande dimestichezza con la creta e il cemento nell’ornato di grandi o piccole dimensioni.
Lo testimoniano i grandi ornati in cemento del Torrione – uno dei capolavori di Pier Giacinto – , le decorazioni esterne in cotto del cornicione e delle centine delle finestre del Palazzo dei Principi restaurato da Guido Zucchini nel 1925-27 e diverse parti del grande camino della Sala del Rinascimento (o Sala del Camino) del Museo Civico, il delicato e preciso restauro di alcuni fregi di Eusebio Casalgrandi sulla facciata del Teatro Comunale e la statua in cemento di San Giuseppe Calasanzio nella nicchia più alta della facciata dell’omonima chiesa di Correggio.
Ancora maggiori sono le testimonianze in abitazioni private di Correggio e della zona.
Bruto lavorava la creta proveniente dalle cave correggesi cuocendola dapprima al sole e poi andando alla fornace di Mandrio. Artista instancabile, anche negli ultimissimi tempi della sua vita Bruto lavorò con intensità.
Si spense il 5 febbraio 1972.
Bruto fu modellatore estroso, ereditando dal padre un vivissimo senso plastico che, pur conservando in parte uno spiccato senso del grottesco che aveva caratterizzato la produzione caricaturale del padre, si volgeva piuttosto verso una vena di ironia con forti radici popolari.
Nelle sue sculture, prevalentemente di piccolo modulo, difetti, virtù e pregi delle persone venivano colte, con uno spirito d’osservazione che lascia stupefatti, senza indecisioni (nessuno mai, come ricorda Tamagnini, posò per lui, gli bastava uno sguardo per fotografare il soggetto).
Bruto coniugò tecnica e fantasiosa ispirazione, rompendo schemi accademici e attingendo, come bene notò Alfredo Gianolio, alla realtà umana in cui viveva e operava, ritraendola con consumata maestria.
Fu soprattutto un caricaturista eccezionale, mai grossolano o volgare, con un’incredibile capacità di rendere in modo ironico e talvolta grottesco, la fisionomia e la psicologia delle sue “vittime”.
Attraverso le sue opere Bruto ci racconta un mondo che era quello che girava intorno a lui, ma che di fatto è anche il nostro: fatto di gente che “non farà la storia” ma che riempie la nostra quotidianità, per questo non meno importante.
Senza Bruto avremmo perso un po’ della nostra piccola grande storia e senza le sue opere avremmo dimenticato anche Bruto, artista irripetibile nella sua geniale creatività e originalità.