Dal Buono Benedetto
Lugo, 1711 - Lugo, 1775
Figlio di Francesco e Marianna Fiaccari, nacque a Lugo (prov. di Ravenna) il 7 maggio 1711 (Il Tiberino, 1834).
Allievo inizialmente dell’intagliatore in legno Giuseppe Paganelli di Forlì, ancora adolescente passò a Bologna, dove, secondo le testimonianze coeve del Crespi (1769) e dell’Oretti (B. 131), entrò nella scuola di G. Donnini (Donini), pittore allievo prima del Dal Sole, poi del Cignani, dei cui modi tardi assimilò il composto e atteggiato classicismo, sottolineato da un gusto per i ritmi ampi e spezzati dei panneggi, che gli è peculiare. Caratteri stilistici, questi, che il D. fece suoi nei limiti delle sue capacità non eccelse, ma tali da meritargli, tra gli altri allievi (molti dei quali provenienti dalla Romagna: Oretti, B 129), una particolare benevolenza da parte del Donnini, probabilmente per l’incondizionata adesione ai modi pittorici del maestro, dal quale derivò “il suo colorito ameno” e a cui fu talmente affezionato da rifiutare una lusinghiera offerta della corte sabauda a dipingere nella galleria del palazzo reale di Torino, pur di non lasciare il “suo diletto maestro che non abbandonò mai fino alla morte” (Oretti, B 131).
Circa il nome del maestro del D. è da chiarire definitivamente la confusione, riscontrabile in diversi autori, sorta con un pittore seicentesco, Girolamo Bonini detto l’Anconitano, allievo fedelissimo di Francesco Albani, la cui fama è affidata soprattutto all’esecuzione di un affresco nella sala Farnese del palazzo pubblico di Bologna, rappresentante La processione della Madonna di S. Luca nel 1433 (1660). Il nome del Bonini come maestro del D. viene menzionato per la prima volta dal Meloni (1823), che, probabilmente, consultò il manoscritto delle Vite de‘ pittori e scultori ferraresi del Baruffaldi, interpretando erroneamente la lettera iniziale del nome del maestro del D., che evidentemente si prestava ad essere confusa con una B, perché la stessa dizione errata compare anche nella pubblicazione a stampa dell’opera dell’arciprete ferrarese, avvenuta postuma negli anni 1844-46, benché composta a partire dal 1729. L’errore pare quindi di trascrizione e non sembra imputabile al Baruffaldi, che conobbe personalmente il D. (e quindi non ignorava presso chi era avvenuta la sua formazione artistica); a lui dedicò nel 1750 un sonetto d’occasione per il quadro rappresentante S. Antonio abate e i devoti, eseguito dal pittore lughese per la residenza dell’arte dei gargiolari a Bologna (Oretti, B 131). Purtroppo l’errore permane nel recentissimo Indice ragionato delle “Vite…” di G. Baruffaldi (1980) in cui il Bonini viene registrato come maestro del D., senza che venga rilevato criticamente il salto cronologico tra i due pittori.
La stretta dipendenza stilistica del D. dal Donnini è evidente in un’opera giovanile (firmata sul retro e datata 1737), la più antica che conosciamo (conservata presso la Biblioteca Trisi di Lugo), inviata probabilmente nella città natale dal D. mentre si: trovava a Bologna. Si tratta di un piccolo dipinto rappresentante un Santo vescovo cui un angelo porge il modello di una chiesa, che appare direttamente ispirato, pur con cadenze piuttosto rigide, al S. Quirino della pala con l’Assunta e santi, eseguita dal Donnini nel 1735 per la cattedrale di Correggio. Pure verso la fine del quarto decennio potrebbe porsi l’ariosa composizione avente come soggetto S. Giuseppe tra s. Teresa e s.; Maria Maddalena de‘ Pazzi, ora nel convento del Carmine di Imola, ma originariamente nell’attigua chiesa, la cui ristrutturazione, intrapresa da Domenico Trifogli a partire dal 1720 (Gaddoni, 1927), era già notevolmente avanzata in quegli anni, tanto da permettere la decorazione degli altari. Tra il 1730 e il 1740 si pone infatti l’intervento del Donnini a fianco del suo allievo imolese Giuseppe Righini in una delle due grandi tele (quella di sinistra) con Storie di Elia poste nel presbiterio della stessa chiesa. La contemporanea presenza del Donnini al Carmine di Imola è un elemento estremamente positivo per i due giovani allievi romagnoli, che senza il sostegno del maestro (morto nel 1743) cadranno spesso in un provinciale accademismo, come dimostra l’altro quadro imolese del D., Il transito di s. Giuseppe, eseguito nel 1748 (ibid.) per la soppressa chiesa di S. Francesco ed ora in S. Giacomo Apostolo. Ancora nel raggio d’influenza del Donnini, di cui è presumibile un felice intervento-guida, sembra il dipinto della chiesa del Suffragio di Lugo, rappresentante la Madonna col Bambino e i ss. Giuseppe, Giovanni Nepomuceno, Andrea Avellino, Antonio e l‘angelo Raffaele (Oretti, B 131) – erroneamente attribuito dal Corbara (1981) a Giovanni Dal Buono – che, pur nell’affollata composizione, mostra notevole equilibrio ed eleganza di ritmi, ricordando da vicino, specie nel s. Antonio e nell’angelo, le figure di ugual soggetto che compaiono nell’unico dipinto pubblico del Donnini a Bologna, la Madonna col Bambino e s. Antonio da Padova, eseguito per S. Maria di Galliera nel 1742.
Privato del maestro, il D., benché avesse già superato la trentina, frequentò i corsi dell’Accademia, riportando anche premi (Meloni, 1823), notizia; che trova effettiva conferma in un Catalogo de‘ premiati Fiori (1743-65) da cui risulta che “Benedetto Dal Bono Lugarese” ottenne nel 1744 e nel 1745 questo premio di recente istituzione, conferito a chi si distingueva per la sua assiduità alle lezioni accademiche. Ben ventitré anni sarebbe durato il soggiorno bolognese del pittore (Meloni, 1823), la cui complessiva produzione di pale d’altare appare piuttosto elevata (quarantaquattro ne avrebbe eseguite, secondo la testimonianza del suo contemporaneo Oretti, B 131).
Tra le opere bolognesi sono ricordate però solo le seguenti (ora non più esistenti): una Madonna col Bambino e s. Gaetano in casa del mercante Predieri in via S. Felice e due dipinti eseguiti per la residenza dell’arte “dei tessitori di seta” per la piccola chiesa dell’arte dei gargiolari, rappresentanti rispettivamente S. Petronio e Puttini e il già citato S. Antonio abate (databile 1750 grazie al sonetto del Baruffaldi).
Altri elementi per la cronologia del D. (fornitici dal Campori, 1855) ci confermano ulteriormente la presenza del pittore a Bologna nel quinto decennio: si tratta di una lettera ad un Gonzaga di Novellara (scritta a Bologna il 17 genn. 1745), in cui si parla. di un dipinto già eseguito rappresentante la Concezione e di un altro cominciato con S. Andrea Avellino e s. Francesco di Paola, e di due lettere indirizzate a Vincenzo Giannotti a Correggio (scritte a Bologna il 4 e il 22 febbr. 1751) contenenti le trattative circa l’esecuzione di un S. Andrea Avellino da porre a pendant di un S. Quirino. P, presumibile che queste opere fossero state commissionate al D. per la sua lunga dimestichezza col Donnini, che di Correggio era originario e che per la città natale aveva eseguito numerosi dipinti.
Agli scarsi dati documentari relativi all’attività del D. possiamo aggiungere un rogito del 23 dic. 1750 (che segna il successivo e definitivo rientro del pittore a Lugo) in cui i magistrati lughesi si impegnano con l’architetto Francesco Petrocchi (autore della ristrutturazione della chiesa del Carmine di Lugo) per la costruzione dell’ancona dell’altar maggiore e col D. per la somma di 40 scudi per l’esecuzione della pala (Lugo, Arch. stor. com., I-B-4, nn. 35-37; documento riportato dal Sabatini, 1961).
Il dipinto, rappresentante S. Ilario tra s. Elia e s. Eliseo, mostra, probabilmente per esigenze di chiarezza rappresentativa da parte dei committenti carmelitani, due dei tre santi in posizione frontale, con un effetto di austera e impacciata monumentalità. Sempre alla mano del D. sono riferibili, nella volta del presbiterio della stessa chiesa, le quattro tele ovali poste entro cornici in stucco nel pennacchi degli archi (rappresentanti Fede, Speranza, Carità e Umiltà) e il grande medaglione centrale con l’allegoria della Chiesa cattolica.
Altre opere del D. seguono a ruota il progressivo completamento della ristrutturazione architettonica del Carmine: dopo il 1756, anno della copertura della navata centrale (Sabatini, 1961), e databile la grande tela posta al centro della volta con l’Ascesa al cielo di Elia sul carro di fuoco, il cui soggetto sembra sollecitare il pittore a uscire dai consueti moduli classicisti per affrontare, senza troppo successo, una composizione più mossa e articolata nel gusto ancora tardo barocco. Di Parecchi anni più tarda, di poco successiva al contratto col Petrocchi del novembre 1770 per la costruzione dei due grandi altari affacciati uno di fronte all’altro al centro della chiesa, è la pala con S. Giuseppe tra s. Teresa e s. Maria Maddalena de‘ Pazzi, databile al 1771come le due statue in stucco di Antonio Trentanove che la fiancheggiano (E. Riccomini, Vaghezza e furore… Bologna 1977, p. 107).
Nel ventennio 1751-71 che, come si è detto, vide il D. attivo in varie riprese per la chiesa del Carmine, si scalano numerose opere, tutte chiesastiche, eseguite sia a Lugo sia in varie località della Romagna (tuttora in loco), delle quali solo alcune databili.
Commissionato nel 1774dal parroco don Linguerri (Gaddoni, 1927) per la chiesa di Prugno di Casola è un dipinto con S. Antonio da Padova; sempre nella valle del Senio, per la chiesa dell’Assunta di Casola il D. eseguì una riuscita composizione rappresentante l’Assunta tra s. Andrea Avellino, s. Michele arcangelo e s. Luigi Gonzaga. Di poco successiva al 1769 è da ritenere la grande tela con l’Incoronazione di papa Clemente XIV, commissionata dai francescani di Bagnacavallo per il refettorio del loro convento, probabilmente lo stesso anno dell’elezione del papa del loro Ordine. Sempre allo stesso momento è riferibile l’esecuzione di sei grandi medaglioni ovali su tela con Ritratti di pontefici francescani. Oltre a queste opere, attualmente esposte in una sala del vecchio municipio – essendo semidiroccato il convento attiguo alla chiesa di S. Francesco – ben sette quadri (oggi non più esistenti) erano stati eseguiti dal D. per i cappuccini di Bagnacavallo (Donato da San Giovanni in Persiceto, 1960).
Altre opere, sempre di stretto carattere devozionale, sono il modesto dipinto con S. Giovanni Battista e s. Geltrude, eseguito per la seconda cappella a sinistra del duomo di Faenza (ora in pessime condizioni nel locale arcivescovado), e alcune tele nella chiesa del Suffragio di Fusignano, attribuitegli con fondamento dal Corbara (1981): due dipinti ovali (Transito di s. Giuseppe e la Vergine col Bambino che appare ad una inferma) e una pala d’altare con la Madonna del Buon Consiglio venerata da s. Andrea Avellino, s. Teresa d‘Avila, s. Luigi Gonzaga e s. Vincenzo Ferrer.
Tornato a Lugo – dove anche nella piccola chiesa di S. Maria delle Grazie troviamo due dipinti del D., uno con la Vergine annunciata, l’altro con l’Angelo, figure di una monumentalità ancora memore degli ampi panneggiamenti cari al Donnini – fu nella collegiata (dedicata ai ss. Francesco ed Ilaro) che il pittore diede i frutti estremi della sua attività. Nel decennio 1762-72 la chiesa venne ristrutturata ad opera di Cosimo Morelli (A. M. Matteucci-D. Lenzi, C. Morelli, Bologna 1977, p. 209) e nuove pale d’altare furono commissionate, oltre che al D., al suo allievo Francesco Montanari e al forlivese Giacomo Zampa. La parte più cospicua spetta al D., cui dobbiamo nella collegiata opere di qualità piuttosto discontinua, a causa forse del gran numero di commissioni: riuscita, nel suo composto idealizzante classicismo, appare la pala dell’altar maggior con S. Francesco e l‘angelo; assiepata di figure, rispondente a criteri di stretta osservanza devozionale è la tela rappresentante S. Bernardino, s. Pasquale Bajlon, s. Ilaro, s. Liberata e s. Stefano, posta nella stessa cappella dove in precedenza si trovava un dipinto del Garofalo venduto nel 1769 dai francescani per poter proseguire la fabbrica. Molto modesti appaiono gli altri due dipinti attribuiti al D., che, in pessime condizioni, si trovano in locali attigui alla chiesa: un S. Francesco che riceve le stimmate (e nella predella i patroni dei terziari, S. Luigi di Francia e s. Elisabetta d‘Ungheria, oltre a S. Giovanni Battista), collocato il 1° febbr. 1773 nella cappella della Confraternita delle Stimmate (di cui il D., che era pure terziario francescano faceva parte), e una Immacolata Concezione tra s. Giovanni evangelista e s. Bonaventura (Rossi, 1925).
Ultima opera del D. per la sua città dovrebbe essere il piccolo dipinto rappresentante un’Immagine della Vergine col Bambino venerata da s. Rocco, s. Giacomo Apostolo, s. Ilario e s. Luigi Gonzaga (conservato presso la Biblioteca Trisi) se, accogliendo la plausibile proposta avanzata dal Rossi nel suo manoscritto e accettata anche dal Corbara (1981), vogliamo identificarlo col quadro, menzionato con lode dal Baruffaldi, eseguito dal D. per la cappella del collegio Trisiano (costruito da Cosimo Morelli e inaugurato nel 1775), rappresentante i Santi protettori di Lugo (la figura di s. Luigi Gonzaga, patrono della gioventù studiosa, inserita tra i protettori, sembra pertinente alla destinazione dell’opera).
Non è purtroppo reperibile nessuno dei dipinti di carattere profano, pure ricordati dal Baruffaldi nella galleria di casa Borsi a Lugo: Il supplizio di una vestale, una Pallade, un Ercole, Bradamante che toglie l‘anello a Brunello, il Combattimento di Argante e Tancredi, che, se ci fossero stati conservati, avrebbero potuto mostrarci il D. sotto un altro profilo. Come prolifico esecutore di pale d’altare – a detta dell’Oretti (B 131) vi sarebbero sue opere anche nelle Marche, a Corinaldo e a Cingoli – il D., benché a tutt’oggi ignorato dai più recenti e qualificati contributi sulla pittura romagnola del Settecento, rientra dignitosamente, pur nelle sue limitate possibilità espressive, poste per di più al servizio di una committenza religiosa provinciale, nell’ambito della produzione devozionale di stampo classicista, che caratterizza tanta pittura bolognese ed emiliana del Sei e del Settecento.
Il D. morì a Lugo nel 1775.