Piò Angelo Gabriello
1690 - 1769
Nacque a Bologna il 2 aprile 1690 da Domenico e da Caterina Palmieri. Rimasto orfano di padre ancora bambino, la madre, compiuti i primi studi, «volle inviarlo per la cirurgia» come ricorda il suo biografo Giampietro Zanotti (1739, p. 245), ma ben presto – mostrata maggiore attitudine nel modellare – venne inviato a bottega dapprima brevemente presso un maestro «di poco o niun valore» (ibid.) e in seguito presso lo scultore Andrea Ferreri, allievo di Giuseppe Maria Mazza. Nel 1712, uscito da poco dalla bottega di Ferreri, realizzò una serie di bassorilievi in terracotta per l’oratorio del Suffragio in San Giovanni in Persiceto, oggi nel locale Museo d’arte sacra (Annunciazione, Adorazione dei Magi, Adorazione dei pastori, Sacra Famiglia, Orazione nell’Orto, Tradimento di Giuda, Caduta sotto la Croce, Pietà). Stando a Zanotti (ibid., p. 246), i rilievi furono apprezzati da Mazza che gli offrì di perfezionarsi sotto la sua direzione.
Piò si sposò intorno a questi anni con la sorella di Matteo Pignoni, coniatore della Zecca bolognese e padre di Gaetano, che diventò anch’egli scultore formandosi presso lo zio (Riccòmini, 1977, pp. 90 s.); nel 1715 nacque il figlio Domenico, che condusse una carriera di scultore con un certo successo, grazie al costante appoggio paterno (ibid., pp. 114-120).
Nel 1718, fornito di molte lettere di presentazione, tra le quali quella del pittore Giovan Gioseffo dal Sole, si recò a Roma presso lo scultore Camillo Rusconi, dove rimase per un anno esercitandosi in particolare nella scultura in marmo, poco praticata a Bologna. Tra le opere in marmo realizzate a Roma si ricordano «il Bambino Gesù in atto di innalzare una croce, ed una mezza figura della concezione di Nostra Signora» (Zanotti, 1739, p. 247), inviati a Bologna ad Antonio Cavazza, protettore dello scultore, oggi perduti.
Al suo rientro a Bologna Piò realizzò per casa Cavazza due figure in stucco raffiguranti Apollo e Diana, a decorare lo scalone, e una Flora e un Ercole in arenaria collocati nel giardino (Riccòmini, 1963, p. 54; Id. 1977, p. 51; per il bozzetto dell’Apollo: Id. 1992, pp. 91-96). L’Ercole è oggi nel cortile di palazzo Poggi, giuntovi per dono all’Istituto delle scienze poco prima del 1751. Per lo scalone di casa Rampionesi realizzò nello stesso periodo tre statue raffiguranti «deità» e una Madonna con angeli reggilumi, tutte perdute.
Nel 1721 Piò venne ammesso all’Accademia Clementina, dove per tredici volte tra il 1723 e il 1758 fu direttore di figura, per essere nominato principe dell’Accademia nel 1767 (Farneti, 1988). Nel 1722 realizzò il S. Francesco orante in terracotta policroma per il convento dell’Osservanza. Al 1724 risalgono i profeti Elia ed Eliseo nonché due Angeli per l’altare maggiore della chiesa del Carmine a Medicina, su disegno di Alfonso Torregiani (Riccòmini, 1977, pp. 51 s.).
La decisione presa dai padri filippini di S. Maria di Galliera attorno al 1730 di rinnovare l’altare maggiore eliminando, con l’eccezione di due angeli, la decorazione in stucco realizzata circa quarant’anni prima da Mazza, affidando nel contempo a Piò l’esecuzione dei nuovi putti e cherubini, può essere considerata come il passaggio di consegne tra il massimo rappresentante della generazione precedente, ormai quasi ottantenne, e il nuovo astro della scultura bolognese ben determinato a raccoglierne il testimone.
In questi anni Piò era ormai considerato degno di accostare il proprio scalpello a quello del Mazza, come dimostra il perduto Apollo commissionatogli da monsignor Antonio Ghisiglieri a fare da pendant a una sua Diana (Zanotti, 1739, pp. 248 s.; Tumidei, 1991, pp. 30 s.).
Non sarebbero state molte comunque le prove in marmo realizzate negli anni a venire. Tra queste Zanotti ricorda il ritratto del cardinale Cornelio Bentivoglio «da locarsi nella piazza d’Imola» (1739, p. 248), oggi perduto, e quello dell’anatomista Antonio Maria Valsalva (Bologna, palazzo dell’Archiginnasio). Ancora in marmo e a testimonianza del legame mantenuto con Rusconi, Piò eseguì nel 1730 la testa del cardinale Pompeo Aldrovandi, innestata nella statua realizzata dallo scultore romano per il monumento funebre nell’omonima cappella in S. Petronio, e i due angioletti in cima all’altare della cappella Boncompagni nella cattedrale di S. Pietro, eretto su disegni inviati da Rusconi e portato a termine nel novembre del 1731.
Al quarto decennio, e comunque antecedenti al 1739, essendo citate da Zanotti (1739, p. 248), appartengono la Fortezza e la Prudenza in stucco, poste sulle rampe dello scalone della casa già Gozzadini, dove pure si trova una sua Madonna con Bambino, sempre in stucco, considerate tra i migliori esiti dello scultore, e – perdute quelle in casa Rampionesi – prima testimonianza di un genere che avrebbe goduto di vasta diffusione nelle decorazioni a venire dei palazzi bolognesi (Riccòmini, 1977, p. 54). Nel 1733 eseguì su incarico dell’Accademia Clementina la Memoria di Luigi Ferdinando Marsigli, opera che segnò il definitivo passaggio dal classicismo seicentesco al trionfo della «vaghezza» (ibid., p. 56). L’oratorio di S. Filippo Neri, terminato nel 1733 su disegno di Torregiani, pure conservava opere in stucco di Piò, andate distrutte nel 1944 a eccezione delle statue della Verginità, della Carità e di un S. Filippo.
Entro la fine degli anni Trenta eseguì per la chiesa dei Servi le statue dei beati Piriteo Malvezzi e Imelda Lambertini, mentre nel 1739 realizzò gli stucchi nella cappella del Rosario in S. Domenico (il Gaudio, il Dolore e la Gloria), restaurata da Carlo Francesco Dotti. Tra il 1738 e il 1740 tornò a lavorare in S. Maria di Galliera, attendendo alla cappella di S. Filippo Neri (due Angeli, un Padre Eterno fra angeli e cherubini, due Serafini ai lati dell’altare). Nella stessa chiesa spettano allo scultore le statue di S. Caterina Vigri e S. Chiara e quelle di S. Paolo e S. Taddeo, tutte da ricondurre ad anni prossimi al cantiere della cappella; vi si conservano inoltre, di Piò, tre rilievi in terracotta (Madonna col Bambino, Adorazione dei pastori, Pietà).
Alla metà degli anni Quaranta si possono collocare le due Figure allegoriche, l’Immacolata e i Putti con delfino della casa già Varrini, così come le statue che ornano la scala di casa Cattani (la Saggezza, la Fortezza, la Prudenza).
Tra il 1744 e il 1747 Piò fu attivo nel cantiere del santuario della Madonna di S. Luca, la cui edificazione a opera di Dotti era iniziata nel 1723 (Matteucci, 1969 p. 87). È questa l’impresa di maggior impegno dello scultore, che vi eseguì più di venti statue in stucco a grandezza naturale (Crocifisso con la Madonna e S. Giovanni, le Virtù teologali, le Virtù cardinali, la Teologia, Angeli e Putti).
Alla fine degli anni Quaranta Piò realizzò il monumento in stucco a papa Lambertini nell’atrio dell’Istituto delle scienze; distrutto in epoca napoleonica, ne resta come unica memoria un bozzetto in terracotta (Bologna, Pinacoteca nazionale; Riccòmini, 1980, pp. 299 s.). Al 1752 risale il modello per l’ostensorio in argento per la confraternita del Suffragio di Medicina, realizzato da Bonaventura Gambari (Francesconi, 2000). Tra le ultime opere realizzate a Bologna vi sono le cinque statue per la cappella di S. Ivo in S. Petronio (la Fede, la Carità, la Speranza, la Giustizia, la Prudenza), terminata nel 1752 a opera di Dotti (Riccòmini, 1977, p. 67).
Se si eccettua un breve soggiorno a Genova nel 1739, dove fu chiamato dal pittore Giacomo Antonio Boni a realizzare quattro statue per la chiesa di S. Vincenzo de’ Paoli (Soprani – Ratti, 1769), rari furono i viaggi fuori da Bologna, il più significativo a Imola intorno agli anni Cinquanta per realizzare le statue per la chiesa di S. Agostino (S. Michele abbatte il demonio, la Misericordia, la Carità, la Giustizia, l’Umiltà, la Penitenza, la Sapienza). Per la chiesa di S. Francesco a Correggio realizzò nel 1752 tre statue (S. Antonio da Padova; S. Francesco; Immacolata; Campori, 1855), mentre risale al 1763 la Pietà per la chiesa dell’Annunziata di Guastalla (ibid.). Altre commesse gli giunsero da Castelfranco Emilia, Cesena, Ferrara, Forlì e Pesaro.
La vastissima produzione di opere devozionali in terracotta, stucco o cartapesta, fu sovente replicata da Piò o dalla bottega, com’è il caso della grande Pietà in S. Giuseppe dei Cappuccini a Bologna, realizzata nel 1727, la cui versione in scala ridotta è sempre a Bologna in S. Maria della Vita (Cesare Tiazzi, 2011, pp. 212 s.), o del Cristo morto con la Vergine e la Maddalena del Museo Davia Bargellini, sintetica ripresa di bottega dell’omonimo gruppo in S. Maria di Galliera (ibid., p. 204).
Piò non disdegnò il genere minore delle figure da presepio, come testimonia la Coppia di contadini del Museo Davia Bargellini, firmata e datata 1721, unico punto fermo tra le innumerevoli figurine prodotte in quegli stessi anni a Bologna, sovente attribuitegli (Riccòmini, 1965, pp. 85 s., 89 s., 95; Mampieri, 1991). Piò operò raramente nel campo della scultura in cera, sebbene in passato gli siano state attribuite quasi tutte le opere in questa materia esistenti a Bologna (Mostra del Settecento bolognese, 1935, pp. 144 s.).
In un manoscritto autobiografico, consegnato a Marcello Oretti il 10 maggio 1769, Filippo Scandellari si attribuì il merito di aver introdotto a Bologna nel 1742 l’uso «di far figure di cera colorite al naturale» (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio [BCAB], Manoscritti e rari, ms. B.95 [1769], c. 300v), quando, ancora a studio presso Piò, eseguì il ritratto di Anna Calegari Zucchini, esposto pubblicamente e lodato come opera del suo maestro (Daninos, 2012, pp. 96-101). Unica opera certa in cera è la Sacra Famiglia nella chiesa dei Ss. Vitale e Agricola, ricordata da Oretti in «casa Sampieri della Mercanzia» (BCAB, Manoscritti e rari, ms. B.130 [1760-1780], p. 133), mentre il ritratto di Carlo Francesco Dotti (Bologna, santuario della Madonna di S. Luca) gli viene attribuito in virtù dei rapporti intercorsi con l’architetto e della partecipazione dello scultore al cantiere del santuario (Daninos, 2012, pp. 108-110).
Intensa fu l’attività di Piò nella realizzazione degli apparati effimeri per le macchine degli Altari della reposizione che venivano allestiti durante la settimana santa; le fonti ne ricordano venticinque realizzati tra il 1730 e il 1764 (BCAB, Manoscritti e rari, ms. B.130 [1760-1780], pp. 137 s.; Riccòmini, 1965, pp. 81-84); più raramente, realizzò macchine funebri, la più nota delle quali in occasione delle esequie di Benedetto XIV nel 1758 (Relazione, 1758, p. 8; Ottani Cavina, 1980).
Morì il 31 ottobre 1769 e venne sepolto nella parrocchia di S. Biagio.
Dalla scheda di Andrea Daninos, Dizionario biografico degli italiani.