Gli arazzi di Cornelius Mattens
Il Museo di Correggio conserva una raccolta di nove arazzi, suddivisi nei tre nuclei dei Giardini, delle Cacce e dell’unica Festa popolare, cui si aggiungono due frammenti e quattro candeliere.
La collezione costituisce una tappa essenziale per chi voglia ricostruire la storia dell’importazione degli arazzi di Bruxelles in Italia.
Seppure l’asportazione delle bordure, compiuta tra Settecento ed Ottocento per adattarli agli ambienti del Palazzo Municipale dove sono rimasti fino ad una cinquantina di anni fa, abbia comportato la perdita delle marche della città di produzione e degli eventuali monogrammi degli arazzieri, è tuttavia possibile stabilirne la provenienza e la cronologia, grazie all’analisi della gamma cromatica, dei soggetti rappresentati, nonché ai riscontri effettuati con esemplari simili.
Una tradizione locale li ha per lungo tempo assegnati alla manifattura dell’arazziere Rinaldo Duro, attivo nella città di Correggio negli ultimi quattro decenni del XV secolo, ma l’origine degli arazzi è fiamminga, come già intuito dal Pettorelli nel 1936.
Vera e propria “firma” di una manifattura di Bruxelles, attiva dall’ultimo quarto del XVI secolo, sono i colori, l’impianto delle raffigurazioni e la vena paesistica predominante.
L’analisi tipologica dei soggetti ha portato Nello Forti Grazzini, lo studioso che più li ha analizzati, a proporre il nome di Cornelius (Cornelis) Mattens quale autore delle tre serie di arazzi.
Documentato a Bruxelles almeno dal 1580, di lui si hanno ben poche notizie. Nasce forse nel 1576-77 (secondo Guy Delmarcel), ma alcuni (Göbel) lo reputano attivo fin dal 1580. Nel 1614 è decano della gilda (corporazione) degli arazzieri di Bruxelles, città nella quale rimane operoso fino alla morte nel 1640.
La sua marca “CM” compare negli arazzi superstiti (Museo Civico di Gandino, Castello di Monselice, Museo Nacional di Buenois Aires, Castello di Elsinore, oltre ad altri panni transitati in asta a Lontra e Roma) da sola, in associazione con la sigla “HM” del fratello Henri o del figlio (?) Hans o con la “BB” della città di Bruxelles.
Molto recentemente sono comparsi sul mercato antiquario due repliche di analoghi panni conservati a Correggio (Teseo ed Arianna, Venere ed Adone, già ritenuti Cefalo e Procri), rispetto ai quali presentano minori ‘sofferenze’ sui lati lunghi, conservando le figure e le dimensioni originali.
Per la serie dei ‘Giardini’ Nello Forti Grazzini ha autorevolmente proposto come autore dei cartoni (che di proprietà dell’arazziere venivano replicati a suo piacimento) un ancora anonimo pittore ispirato da modelli di Hans Vredeman de Vries, fissando la data di esecuzione al 1590-1595.
Data che può essere tranquillamente riproposta sia per le ‘Cacce’ che per l’unica Festa, pur se il cartonista risulta ancora non identificato.
Sebbene l’origine della presenza a Correggio di questi panni sia ancora ignota, è stato supposto che facessero parte di un più consistente gruppo di arazzi acquistati nelle Fiandre (forse ad Anversa nel celebre Tapissierspand) dal conte Camillo I da Correggio.
Di certo, nel 1606 un inventario degli arredi del Palazzo dei Principi redatto dopo la morte di Camillo I documenta la presenza di ben ventiquattro arazzi, di cui i nove attuali rappresenterebbero la porzione superstite.
Scampati alla dispersione delle collezione dei da Correggio dopo la perdita dello Stato e la devoluzione al Ducato di Modena e Reggio, dopo il 1783 gli arazzi subirono numerosi interventi di “adattamento” nei quali furono privati delle bordure (risultando così ridotti di circa un metro su tutti i lati) o tagliati per renderli idonei ad arredare taluni locali del Palazzo della Municipalità.
Dagli anni Settanta del Novecento e fino al 2006 sono stati oggetto di numerosi interventi di restauro che ne hanno riportato in luce la primitiva bellezza.
I nove panni superstiti sono riconducibili a tre diversi nuclei tematici: Giardini, Cacce e l’unica Festa popolare.
Delle quattro bordure, mentre due appartengono sicuramente ad arazzi pertinenti ad uno dei tre gruppi prima ricordati, le altre due (contraddistinte l’una dalla raffigurazione di un basilisco e l’altra da quella di un mostro marino), sembrano invece dover essere ricondotte ad un’ulteriore serie oggi totalmente dispersa.
Serie dei Giardini
Sono cinque gli arazzi di questa serie, concepiti come spettacolari scenari paesistico-prospettici in cui vengono raffigurati tipici parchi nobiliari del tardo Cinquecento.
La composizione è di grande impatto visivo: aiuole geometriche, balaustre, pergolati, padiglioni classicheggianti, statue, rovine antiche e case sono inserite in un contesto naturale di forte suggestione in cui vengono sapientemente alternati elementi naturali e artificiali (fontane, corsi d’acque, prosceni incolti, piccoli animali).
Le piccole figure umane che si muovono nei giardini vestono all’antica. Il tutto, oltre a sottolineare il contrasto tra natura coltivata, artificiale e natura incolta, selvaggia rifacendosi ad una tipica concezione del giardinaggio di quell’epoca, costituisce anche il teatro ideale per ambientare episodi mitologici, richiamati in ogni arazzo da una o più figure poste in primo piano che svolgono la funzione di citazione colta.
I panni sono tutti accomunati dalla derivazione da un’unica fonte letteraria: le Metamorfosi di Ovidio:
- L’incontro di Teseo e Arianna (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 169-176).
Nel labirinto raffigurato al centro dell’arazzo, l’eroe affronta il Minotauro (qui raffigurato come Centauro, secondo un reiterato errore trasmesso dall’arte romanica a quella nordica del XVI secolo); - Vertumno e Pomona.
Vertumno (al centro) travestitosi da vecchia si introduce al cospetto di Pomona (Ovidio, Metamorfosi, XIV, 664 ss.). In primo piano Nettuno e una Nereide; - Minerva e le Muse.
Minerva, rivestita delle sue armi, si dirige a far visita alle Muse (Ovidio, Metamorfosi, V, 250 ss.), che compaiono nel settore destro, disperse tra siepi e pergolati, intente a suonare i loro strumenti tradizionali. - Giove e Callisto.
Giove, assunto l’aspetto di Diana (la donna a sinistra, con la falce di luna sulla fronte), corteggia e conquista la ninfa Callisto (Ovidio, Metamorfosi, II, 422). Il pavone appollaiato sulla balaustra allude forse a Giunone, consorte di Giove; - Cefalo e Procri.
Cefalo (identificato dalla lancia posta ai suoi piedi) appoggiato alle gambe di Procri (Ovidio, Metamorfosi, VII, 797-803).
Su quest’ultimo arazzo è opportuno soffermarsi brevemente, perché la raffigurazione dei due giovani, ci riporta alla variante introdotta da Niccolò II Postumo da Correggio rispetto al racconto ovidiano: là dove nel mito ovidiano Cefalo uccide per errore la moglie Procri, nel testo di Niccolò la favola ha un finale lieto con i due sposi che vivono felicemente insieme. Finale che divenne il modello per moltissimi quadri ed arazzi quattro-cinquecenteschi.
Serie delle Cacce
La caccia, svago aristocratico per eccellenza tanto dell’età medioevale quanto dell’età moderna, è uno dei temi più diffusi nell’arte dell’arazzo.
I panni correggesi si conformano ad un modulo espressivo tardo cinquecentesco, in cui il quadro paesistico raffigura boschi ai margini di città o borghi.
Nelle ampie radure che si aprono ai margini di questi boschi, caratterizzate da vegetazione di sottobosco che vi cresce abbondante, sono ambientate le scene di caccia cui prendono parte decine di personaggi (cacciatori a piedi o a cavallo, battitori, serventi), tanto raffigurati nel pieno dell’azione quanto durante piacevoli pause.
Nei tre arazzi esposti vengono rappresentate alcune delle cacce più in voga sul finire del Cinquecento in ambiente fiammingo:
- Caccia all’orso.
La scena è animata dal susseguirsi dei cani che attaccano gli orsi, dei battitori (muniti di corno da caccia) e dei cacciatori che, armati di forche e picche, inseguono gli orsi che, a loro volta, atterrano e feriscono i cacciatori. Gli orsi non vengono uccisi, ma solo immobilizzati perché destinati ai “serragli” (gli zoo privati del tempo) dell’alta nobiltà fiamminga; - Caccia ai lupi.
In una drammatica successione di avvenimenti, sono rappresentati feroci combattimenti tra mastini del Brabante e lupi, questi ultimi uccisi dai cacciatori armati di lunghe picche; - Caccia alle anatre e agli aironi.
Sono rappresentate le fasi della caccia alle anatre (effettuata prevalentemente con archibugi) e agli aironi (assaliti in volo da falconi da caccia). Sulla destra, un festino, cui partecipano gentiluomini e nobildonne (di cui una, quella di rango più elevato, regge sul braccio guantato il falcone), viene allietato da musicanti.
La Festa popolare
Questo arazzo di piccole dimensioni raffigura un villaggio rurale fiammingo, immerso in una campagna lussureggiante, in cui ha luogo una festa popolare e patronale (al centro della composizione, in secondo piano, si può notare una processione sacra).
In alto, nella bordura tagliata, sopravvive un frammento di motto araldico (NON … ALTA) di cui al momento sfugge il significato preciso.
Il panno presenta una raffigurazione popolaresca consona piuttosto al tardo Seicento o ai primi del Settecento, ma lo stile e i colori sono databili alla fine del XVI secolo, come si acquisisce da riscontri con altri panni simili.
E’ possibile, come suppone Forti Grazzini, che la Festa popolare testimoni il primo apparire del tema di genere fine a sé stesso nell’arte dell’arazzo e ciò lo renderebbe un pezzo del massimo interesse.
Tuttavia, la perdita della serie in cui questo arazzo era certamente inserito, rende impossibile qualsiasi ulteriore approfondimento che forse avrebbe potuto rivelare contesti culturali e finalità anche diverse.
Le candeliere (bordure)
Delle quattro candeliere, due sicuramente sono state ritagliate dalle serie di arazzi ancor oggi conservate. La prima ha come elemento centrale la caccia al cervo, la seconda la caccia allo struzzo.
Le altre due, invece, sono riferibili a una serie di arazzi purtroppo andata perduta: la prima è incentrata sulla figura del basilisco, la seconda di un mostro marino.
I frammenti
I due frammenti superstiti da successivi ritagli ci presentano il primo un particolare dell’episodio della casta Susanna e i vecchioni, il secondo la vicenda di Davide e Betsabea.